Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri,  rappresentato
e  difeso  dalla  Avvocatura  Generale  dello  Stato  presso  cui  e'
domiciliato in  Roma,  via  dei  Portoghesi  n.  12,  contro  Regione
Sardegna, in  persona  del  Presidente  della  Giunta  regionale  pro
tempore  per  la  declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 1 della Legge della Regione Sardegna n.  19  del  2  agosto
2013, pubblicata sul BUR n. 36  dell'8  agosto  2013  recante  «Norme
urgenti in materia di usi civici, di pianificazione  urbanistica,  di
beni paesaggistici e di impianti eolici». 
    La legge della Regione autonoma Sardegna n. 19 del 2 agosto  2013
recante norme urgenti in materia di  usi  civici,  di  pianificazione
urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici,  all'art.  1
dispone la «Ricognizione generale degli usi civici». 
    Piu' precisamente stabilisce che: 
      «1. La Giunta regionale, mediante  un  Piano  straordinario  di
accertamento demaniale, provvede alla ricognizione generale degli usi
civici esistenti sul territorio regionale e  alla  individuazione  su
cartografia  aggiornata  di  dati  e  accertamenti   gia'   esistenti
riportati su cartografie antiche. 
      2. A tal fine in deroga alle disposizioni  di  cui  alla  legge
regionale 14 marzo 1994, n. 12  (Norme  in  materia  di  usi  civici.
Modifica della legge regionale  7  gennaio  1977,  n.  1  concernente
l'organizzazione amministrativa  della  Regione  sarda),  ed  in  via
straordinaria al fine di superare i limiti e le  incongruenze  legate
alle procedure di accertamento gia' decretato delle terre gravate  da
uso civico, i comuni sono delegati ad effettuare entro il 31 dicembre
2013, e con le procedure per l'adozione e l'approvazione dei piani di
valorizzazione di cui all'articolo 9 della legge regionale n. 12  del
1994, la ricognizione generale degli usi civici esistenti sul proprio
territorio. 
      3. A tal fine i comuni, oltre a documentare il reale sussistere
dell'uso   civico,    possono    proporre    permute,    alienazioni,
sclassificazioni e trasferimenti dei diritti di uso civico secondo il
principio di tutela dell'interesse pubblico prevalente. Costituiscono
oggetto di sclassificazione del regime demaniale civico  in  sede  di
ricognizione generale e straordinaria anche i casi in cui  i  terreni
sottoposti ad uso civico abbiano  perso  la  destinazione  funzionale
originaria  di  terreni  pascolativi  o  boschivi  ovvero   non   sia
riscontrabile ne' documentabile l'originaria sussistenza del  vincolo
demaniale civico. I comuni, previa intesa fra le  parti  interessate,
possono attuare, nell'ambito della ricognizione  generale  degli  usi
civici, processi di transazione giurisdizionale a chiusura di liti  o
cause legali in essere. Per quanto previsto al presente articolo  non
possono essere assimilate ad uso civico le terre pubbliche sottoposte
da provvedimenti prefettizi ad assegnazione per finalita' sociali. 
      4. Tutte le risultanze degli accertamenti  gia'  decretati  che
non  risultino  confermate   o   coerenti   con   la   documentazione
giustificativa del piano di  accertamento  straordinario  di  cui  al
comma 1 decadono con l'approvazione,  non  oltre  i  tre  mesi  dalla
conclusione  delle  procedure   comunali,   del   complessivo   Piano
straordinario di accertamento da parte  della  Giunta  regionale.  Le
cessazioni degli usi civici  derivanti  dalle  risultanze  del  piano
straordinario di cui alle presenti norme, hanno efficacia dalla  data
dei medesimi atti o provvedimenti, ovvero se precedenti rispetto alle
date indicate negli stessi atti o provvedimenti, dalla data, indicata
nell'atto  ricognitivo,  in  cui  e'  venuta  meno  la   destinazione
funzionale all'uso civico dei relativi beni.» 
    La  disposizione  sopra  richiamata,  appare   costituzionalmente
illegittima, sotto i profili che verranno ora evidenziati, e pertanto
il Governo - giusta delibera del Consiglio dei Ministri del 4 ottobre
2013 (che per estratto autentico si produce sub 1) ai sensi dell'art.
127 Cost. la impugna con il presente ricorso per i seguenti 
 
                             M O T I V I 
 
    Violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera  s)  della
Costituzione; degli artt. 135, 142, comma 1, lettera h) e 143 decreto
legislativo n. 42/2004; dell'art. 3 lettera n) dello Statuto Speciale
della Regione Sardegna (approvato con legge costituzionale n.  3/1948
) e delle disposizioni attuative del medesimo contenute  nell'art.  6
del decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975 n. 480. 
    1. L'articolo 1 della legge regionale della Sardegna  n.  19/2013
delega  i  Comuni  «alla  ricognizione  generale  degli  usi   civici
esistenti sul proprio territorio» (comma  2),  prevedendo,  altresi',
una procedura di sdemanializzazione dei  «terreni  sottoposti  a  uso
civico che abbiano perso la  destinazione  funzionale  originaria  di
terreni pascolativi o  boschivi  ovvero  non  sia  riscontrabile  ne'
documentabile l'originaria sussistenza del vincolo demaniale  civico»
(comma 3). 
    Come e' noto, gli «usi civici» sono diritti  reali  millenari  di
natura collettiva, volti ad  assicurare  un'utilita'  o  comunque  un
beneficio ai singoli appartenenti ad una collettivita'. 
    Essi sono disciplinati, in linea generale, dalla legge 16  giugno
1927, n. 1766 (mantenuta  in  vigore  dall'allegato  1  del  comma  1
dell'art.  1,  decreto  legislativo  1°  dicembre   2009,   n.   179,
limitatamente agli articoli da 1 a 34 e da 36 a 43)  e  del  relativo
regolamento di cui al r.d. n. 332/1928. 
    Il legislatore statale, nel disciplinare  la  destinazione  delle
terre sulle quali gravano usi civici  all'art.  12,  II  comma  della
legge  n.  1766   cit,   ha   stabilito,   in   via   di   principio,
l'inalienabilita' e l'impossibilita' di  mutamento  di  destinazione,
dei terreni convenientemente utilizzabili come bosco o  come  pascolo
permanente. 
    Gli usi civici concorrono  quindi  a  determinare  la  forma  del
territorio su cui si  esercitano  ed  incidono  sull'ambiente  e  sul
paesaggio, perche' contribuiscono alla salvaguardia di questi ultimi. 
    In tale contesto normativo si  inserisce  l'art.  1  della  legge
regionale in esame che come si  e'  detto  delega  i  comuni  ad  una
ricognizione  generale  degli  usi  civici  esistenti   sul   proprio
territorio e in particolare prevede la progressiva sdemanializzazione
dei terreni sottoposti a uso civico. 
    La legge regionale non si limita quindi a disciplinare la materia
degli usi civici sul territorio ma prevede la sostanziale  cessazione
degli  usi  civici  e  quindi  interferisce  in  modo  diretto  sulla
conservazione e tutela dell'ambiente e del  paesaggio,  in  contrasto
con gli artt. 9 e 117, secondo comma lettera s)  Cost.  la  cui  cura
spetta in via esclusiva allo Stato. 
    Come ha ritenuto la giurisprudenza della Corte  Cost.  sin  dalla
sentenza n. 367/2007 si e' infatti venuto progressivamente  chiarendo
gia' prima della riforma del  Titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione, che «il concetto di paesaggio indica, innanzitutto,  la
morfologia del territorio, riguarda cioe' l'ambiente nel suo  aspetto
visivo. Ed e' per questo che l'art. 9 della Costituzione  ha  sancito
il  principio  fondamentale  della  "tutela  del   paesaggio"   senza
alcun'altra specificazione. In sostanza, e'  lo  stesso  aspetto  del
territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene,  che
e' di per se' un valore costituzionale.  Si  tratta  peraltro  di  un
valore "primario", come ha  gia'  da  tempo  precisato  questa  Corte
(sentenza n. 151 del 1986; ma vedi anche sentenze n. 182 e n. 183 del
2006), ed anche "assoluto", se si tiene  presente  che  il  paesaggio
indica  essenzialmente  l'ambiente  (sentenza  n.  641   del   1987).
L'oggetto tutelato  non  e'  il  concetto  astratto  delle  "bellezze
naturali", ma  l'insieme  delle  cose,  beni  materiali,  o  le  loro
composizioni, che presentano valore paesaggistico. 
    Sul  territorio   gravano   piu'   interessi   pubblici:   quelli
concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui  cura
spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti  il  governo
del territorio e la valorizzazione dei beni culturali  ed  ambientali
(fruizione  del  territorio),  che  sono  affidati  alla   competenza
concorrente dello Stato e delle Regioni. 
    La  tutela  ambientale  e  paesaggistica,  gravando  su  un  bene
complesso   ed    unitario,    considerato    dalla    giurisprudenza
costituzionale un valore primario ed  assoluto,  e  rientrando  nella
competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque  costituisce  un
limite alla tutela degli  altri  interessi  pubblici  assegnati  alla
competenza concorrente  delle  Regioni  in  materia  di  governo  del
territorio e di valorizzazione dei beni culturali  e  ambientali.  In
sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici
diversi: quello  alla  conservazione  del  paesaggio,  affidato  allo
Stato, e quello alla fruizione del territorio,  affidato  anche  alle
Regioni. 
    Si  tratta  di  due  tipi  di  tutela,  che  ben  possono  essere
coordinati  fra  loro,  ma  che   debbono   necessariamente   restare
distinti.». 
    Parimenti l'art. 117  comma  2  lettera  s)  ha  attribuito  alla
competenza   esclusiva   dello   Stato   la   tutela   dell'ambiente,
dell'ecosistema  e   dei   beni   culturali   e   la   giurisprudenza
costituzionale ha piu' volte stabilito che  la  particolarita'  della
disciplina  del  bene  giuridico  ambiente  considerato   nella   sua
completezza ed unitarieta' riverbera i suoi effetti anche  quando  di
tratta di Regioni autonome, incidendo sulla loro  potesta'  normativa
(sentenza n. 367/2007). 
    Gli indicati parametri sono violati perche' l'oggetto della norma
e' indiscriminato: tutti gli usi civici sono presi in considerazione,
senza distinguere quelli che possono presentare un concreto interesse
paesistico  e  ambientale  ne'  riservare  a  questi  una   normativa
specifica. Sono altresi' violati perche' il  solo  presupposto  della
sdemanializzazione   e'   la   mancanza   dell'attuale   destinazione
pascolativa o  boschiva;  senza  considerare  che  la  perdita  della
destinazione agraria non comporta di per  se'  perdita  di  rilevanza
paesistica e ambientale.  Infine  va  censurato  l'automatismo  della
norma contenuta nel comma 4 che fa decadere tutti gli usi civici  non
confermati dalla ricognizione prevista dalla legge  impugnata,  entro
il breve termine in cui questa deve essere effettuata. In tal modo la
tutela del paesaggio e dell'ambiente  (nella  misura  in  cui  questa
dipende anche dall'esistenza di usi civici) e' rimessa  all'esito  di
una ricognizione che non include tra i  propri  criteri  e  obiettivi
anche  l'interesse  paesistico  ambientale;  va  poi  considerata  la
possibilita' di errori o di altre disfunzioni che possono verificarsi
nel procedimento di ricognizione. 
    L'automatismo «mancata ricognizione»/ «cessazione dei  previgenti
accertamenti»  appare  quindi  misura  eccessiva   e   sproporzionata
rispetto al fine che la legge persegue (il riordino degli usi  civici
) e si traduce nello svuotamento del nucleo essenziale  della  tutela
del paesaggio e dell'ambiente quale impostata  dall'art.  9  Cost.  e
attuata dalle disposizioni del  testo  unico  sui  beni  culturali  e
ambientali citate nella rubrica del presente motivo. 
    Per  le  ragioni  fin  qui  esposte,  e'  poi  evidente  come  la
disposizione impugnata, oltre che nell'illegittimita' sostanziale ora
denunciata, incorra anche nel vizio  di  incompetenza:  la  normativa
regionale  priva  infatti  il  sistema  di  tutela  del  paesaggio  e
dell'ambiente del presidio costituito dagli usi civici, e in tal modo
direttamente incide, invadendola, nella competenza statale  esclusiva
sopra menzionata. 
    2. L'art. 1 in esame contrasta altresi' con le  norme  interposte
di legge ordinaria in particolare con  gli  articoli  142,  comma  1,
lettera h), 135 e 143 e del decreto legislativo  n.  42/2004  (Codice
dei beni culturali e del paesaggio). 
    Queste disposizioni statali sono state adottate  sulla  base  del
titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione riguardano  in  particolare  la
materia di beni paesaggistici  (nell'ambito  dei  quali  l'art.  142,
comma  1,  lettera  h)  annovera  anche  gli   usi   civici)   e   di
pianificazione  paesaggistica  (art.  143)  contenute   nel   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e pertanto sono vincolanti  anche
nei confronti delle Regioni. 
    La Corte Costituzionale, infatti, ha rilevato, come si e'  detto,
che «La particolarita' della disciplina del bene  giuridico  ambiente
considerato nella sua completezza ed  unitarieta'  riverbera  i  suoi
effetti anche quando si tratta di Regioni speciali», incidendo  sulla
loro potesta' normativa (cfr. C. Cost. n. 367/2007; per la natura  di
«norme  di  grande  riforma  economico-sociale»  delle   disposizioni
contenute nel decreto legislativo n. 42/2004, e per i limiti  che  ne
derivano all'esercizio della competenza  legislativa  primaria  delle
Regioni autonome, cfr., con  riferimento  all'art.  142  del  decreto
legislativo n.  42/2004,  C.  Cost.  n.  164/2009,  n.  101/2010,  n.
238/2013). 
    L'art. 142 in particolare sottopone a  vincolo  paesaggistico  le
zone gravate da usi civici.  Riprendendo  quanto  gia'  previsto  dal
decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito in  legge  8  agosto
1985, n. 431  (c.d.  «Legge  Galasso»),  il  legislatore  statale  ha
evidenziato e sottoposto a tutela il valore paesaggistico  intrinseco
delle aree  territoriali  coperte  da  uso  civico,  per  le  tipiche
caratteristiche morfologiche ed ubicazionali che esse presentano. 
    E' ormai pacifico che gli usi civici non svolgono  esclusivamente
la funzione economico-sociale di garantire risorse alla collettivita'
che ne e' proprietaria, atteso che «il  riconoscimento  di  una  loro
ulteriore  e  rilevante  funzione   nella   societa'   contemporanea,
conseguente proprio alla natura di  bene  collettivo,  per  cui  alle
tradizionali funzioni di usi civici si e' nel frattempo aggiunta  una
loro fondamentale utilita'  ai  fini  della  conservazione  del  bene
ambiente» (cfr. Cons. Stato, 26 marzo 2013, n. 1698). 
    La  Corte  Costituzionale,  in  particolare,  ha   ravvisato   un
«interesse unitario della comunita' internazionale alla conservazione
degli usi civici, in quanto  e  nella  misura  in  cui  concorrono  a
determinare la forma del territorio  su  cui  si  esercitano,  intesa
quale prodotto di una integrazione fra uomo e ambiente naturale»  (C.
Cost., n.  46/1995;  in  questo  senso,  cfr.  anche  l'ordinanza  n.
316/1998, secondo cui «le zone vincolate in ragione dell'appartenenza
a universita' agrarie o dell'assoggettamento a usi civici comprendono
vaste aree con destinazione a pascolo naturale o a bosco, o  agricole
tradizionali,  e  risalenti  nel  tempo  nelle  diverse  regioni   in
relazione agli obblighi gravanti e alla particolare sensibilita' alla
conservazione da parte delle collettivita' o  comunita'  interessate,
in modo da consentire  il  mantenimento  di  una  serie  di  porzioni
omogenee  del   territorio,   accomunate   da   speciale   regime   o
partecipazione collettiva o  comunitaria,  e  caratterizzate  da  una
tendenza alla conservazione dell'ambiente  naturale  o  tradizionale,
come patrimonio dell'uomo e della societa' in cui vive»,  nonche'  C.
Cost. n. 133/1993, secondo cui «accanto agli interessi locali, di cui
sono  diventate  esponenti  le  regioni,  emerge  l'interesse   della
collettivita' generale alla conservazione  degli  usi  civici,  nella
misura in cui essa contribuisce alla salvaguardia dell'ambiente e del
paesaggio»). 
    In proposito, la Corte Costituzionale ha stabilito che  le  norme
statali contenute nella legge 16 giugno  1927,  n.  1766  (legge  sul
riordinamento degli usi civici) e nel relativo regolamento  (R.D.  n.
332/1928), richiedono  che  la  limitazione  o  la  liquidazione  dei
diritti di uso civico non possano prescindere dalle  valutazioni  del
Ministero per i beni e le  attivita'  culturali  (cfr.  C.  Cost.  n.
345/1997 e 310/2006). 
    L'articolo 1 della  l.r.  n.  19/2013,  allora,  incidendo  sulla
classificazione degli usi civici sottrae  alla  tutela  paesaggistica
vaste porzioni territoriali, ad oggi tutelate in  forza  della  legge
nazionale  (si  consideri  che  il  15%  del  territorio   sardo   e'
assoggettato a gravato da usi civici), e si pone in contrasto con  la
norma fondamentale di riforma economico-sociale di  cui  all'articolo
142, comma 1,  lettera  h)  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio. 
    La disposizione censurata, inoltre, contrasta con le disposizioni
del  Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  in  materia  di
pianificazione paesaggistica, potendo avere effetti negativi  diretti
sul processo di copianificazione paesaggistica in  corso.  Rimandando
ad un'ulteriore cartografia per  la  rilevazione  degli  usi  civici,
infatti, la disposizione mette in discussione la ricognizione  finora
predisposta,  incidendo  in  modo  unilaterale  sullo  strumento   di
pianificazione. 
    L'attivita' di ricognizione, delimitazione e rappresentazione  in
scala idonea all'identificazione delle aree  tutelate  per  legge  ai
sensi dell'articolo 142 del  Codice  costituisce  uno  dei  contenuti
necessari del piano paesaggistico (art. 143, comma 1, lettera c)  del
Codice) e deve essere  svolta  congiuntamente  dallo  Stato  e  dalla
Regione (art. 135 del  Codice).  Pertanto,  la  previsione  regionale
impugnata contrasta anche con la  normativa  statale  in  materia  di
pianificazione congiunta (articoli 135 e  143  del  Codice  dei  beni
culturali), che pure costituisce una norma  fondamentale  di  riforma
economico-sociale. 
    E' evidente come l'intervento legislativo regionale qui censurato
renda impossibile l'applicazione delle norme  statali  di  competenza
esclusiva ora illustrate, cosi' invadendo sotto  gli  aspetti  appena
specificati tale competenza esclusiva. 
    3.  Sotto  altro  aspetto  appare  chiara  anche  la   violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    Consegue infatti da quanto esposto che nelle indicate materie del
paesaggio e dell'ambiente (in cui rientrano, come si  e'  detto,  gli
usi civici in quanto la conservazione degli usi  civici  contribuisce
alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio) la  legge  regionale
deve sempre rispettare quanto stabilito dal legislatore statale. 
    Se quindi e' pur vero che  l'art.  3  lettera  n)  dello  Statuto
speciale della Regione Sardegna attribuisce la  potesta'  legislativa
alla Regione in materia di usi civici «in armonia con la Costituzione
e i  principi  dell'ordinamento  giuridico  della  Repubblica  e  col
rispetto degli obblighi internazionali e  degli  interessi  nazionali
nonche' delle norme  fondamentali  delle  riforme  economico  sociali
della repubblica»; e parimenti l'art. 6, decreto del Presidente della
Repubblica 22 maggio 1975, n. 480, recante «Nuove norme di attuazione
dello  Statuto  speciale  della  Regione  autonoma   della   Sardegna
attribuisce alla Regione funzioni relative ai  beni  culturali  e  ai
beni  ambientali,  nonche'   quelle   relative   alla   redazione   e
all'approvazione dei piani paesistici; tuttavia  la  Regione  non  ha
esercitato la sua competenza  nel  rispetto  dei  limiti  individuati
nell'art. 3 dello Statuto della Regione, e quindi in armonia  con  la
Costituzione  e  con  i  principi  dell'ordinamento  giuridico  della
Repubblica, nonche' nel  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e
degli interessi nazionali, nonche'  delle  norme  fondamentali  delle
riforme economico-sociali della Repubblica. 
    Infatti dalle norme statali e dalle giurisprudenza costituzionale
illustrate nei precedenti motivi risulta  che  costituisce  principio
dell'ordinamento giuridico generale quello secondo cui gli usi civici
fanno parte integrante  e  sostanziale  del  complessivo  sistema  di
tutela dell'ambiente e del paesaggio.